Ah… Se ti svegli in Sicilia e sei nella provincia di Messina, non puoi non cominciare la giornata con granita di frutta stagionale e “brioscia col tuppo”. Un rapido consulto con qualcuno del posto e immediatamente individuo quello che sarà il luogo per i risvegli nelle prossime settimane.
Tano Bar! Un nome, tante garanzie…
Il classicissimo locale sicilian stile: retrò al punto giusto e genuino come la nonna che ti prepara il latte alla mattina. Se non avete mai avuto l’onore di fare colazione a queste latitudini, dovete saper che il peso specifico di ogni “brioscia” rasenta i 3/4 etti, mentre la granita, viene infilata in un bicchiere a coppa larghissima profondo almeno 10 centimetri. Già, perchè in Sicilia la colazione è un pasto importante; anche la colazione…

Passate le chiacchiere con i proprietari, lui pasticcere lei banconista, comincio a incastrare qualche pensiero su come far decorrere la giornata, e, le cose che mi sono prefissato sono tante. Ma mica posso dire a Stefania che il primo giorno di ferie voglio andare qua o là: quindi, spiaggia!
Ora viene il bello…
Saranno le 10 si e no, siamo da soli in spiaggia e, con fare tipico da siculo settentrionalizzato, mi sono dovuto aprire da solo l’ombrellone e le sdraio dello stabilimento. Poi arriva lui, il tipo con il quale parlava Stefania ieri sera, il bagnino insomma.
Poco più di trent’anni, canotta rossa sbiadita dalla salsedine, scodella (casco) in testa e motorino parcheggiato in spiaggia. Da bravo cliente, faccio per avvicinarmi e pagargli il compenso, mah…
“Compà, macheffà (tuttoattaccato) scherzi, tanto da Lipari non scappi se non via mare e tu hai prenotato per le prossime due settimane”
“minchia! (mi verrebbe, ancora, da esclamare)”
“Stefania (quella della reception però) mi ha già detto tutto. Comunque io sono Marco, piacere. Non ti fare problemi, qui sei di casa.”
Ok, torno a sedere sul lettino, ah, no; il mio posto l’ha preso il cane… Sai che c’è? Mi butto in acqua.
“ACCATATEVILLU FRISCU, U’ PISCI GENUINU”
Un pescatore ambulante banniatùri sta svendendo l’ultimo pescato della notte, salto sul muricciolo del corto stabilimento e butto l’occhio nel cassone dell’ape di Giovanni. E’ quasi mezzogiorno e sicuramente un chiletto di calamari con un’alalunga di pezzatura abbondante non guastano. Giovanni, mi ravvisa il mare sarà in rinforzo nei prossimi tre giorni e quindi mi appioppa anche una ricciola di 3 chili e qualche occhiata di risulta per via della taglia piccola. “Compà, dammi 50 euro e te ne vai”
Affare fatto, con quella cifra, a Bologna, non ci prendi neanche la lisca della ricciola.

La cucina non è dislocata a mio gradimento, ma tempo 10 minuti e il profumo di pesce nausea la reception di Stefania. Bèh, non vuoi invitarla per pranzo, del resto è solo un giorno che la conosciamo! Forse sarà un caso, ma come nei veri film western, alla mezza, si presentano tutti alla porta, cane incluso.
Calamari pastellati e fritti, ricciola all’acquapazza e bottiglia ghiacciata di salina bianco docg: non mi troverò a mio agio in questa cucina, ma come primo impatto penso ci sia di peggio.
Ora, non voglio infierire dilungandomi sul conviviale banchetto di un paio d’ore almeno, ma una cosa la posso affermare: quanto si mangia genuino in Sicilia…
Detto ciò, mi ricordo che ho portato con me chili di attrezzatura fotografica e qualcosa dovrò fare… Stasera, a dir la verità, parrebbe prospettarsi un tramonto decente e dunque, decido di studiarmi la cartina per individuare una location discreta. Noto dalla cartina, che, a pochi chilometri dalla frazione di Quattropani viene segnalato un punto panoramico vicino ad una chiesetta.
602 mt sul livello del mare ed eccomi sul Monte Chirica a nord-ovest, un punto veramente spettacolare dell’isola di Lipari. S’era alzato anche un discreto vento di levante nel pomeriggio, e quindi, anche una conseguente intensificazione delle nuvole in cielo: per chi non lo sapesse, il fresco levante, solitamente annuncia tempesta, ricordate, me lo aveva anticipato anche Giovanni, il pescatore.
Sono da poco passate le 18, manca un’oretta al tramonto, e, nel turistico girovagare in cima dov’è posta la chiesetta, orecchio fra le folate di vento il rumore di una zappa.
Dietro la chiesa, si nasconde Rosario (a queste latitudini “Saro”), che, con il suo ritmo scandito da un canto dialettale, vanga uno ad uno i suoi ulivi secolari. Pelle scurissima bruciata dal sole e raggrinzita dal vento, fazzoletto legato al collo e coppola in testa.
“chìsti, sùnu còmu i mé figghì” mi dice Saro sorridendo, “non sunu i meji, ma avi vint’anni ca vegnu cà”.
In dialetto stretto, mi dice, appunto, che questi alberi anche se non suoi, oramai li ha adottati come figli da più di vent’anni. Lui, ci tiene a precisare, che non è mai uscito da Lipari nei suoi 70 anni, ma a forza di incontrare turisti che lo fotografano mentre zappa i suoi ulivi, ha imparato due o tre lingue, compreso l’italiano. Ecco, credo si intuisca così il vero amore dei siciliani, ormai scomparso, verso la “robba”così come la chiamava anche Giovanni Verga nelle Novelle Rusticane. Chissà perchè, mi ricorda mio nonno…

Armato di treppiedi, filtri vari e un semplice 14mm, piazzo la macchina fotografica fra i due speroni rocciosi che si stagliano sulla punta del Monte. Aspetto esclusivamente che il sole si inclini sotto le nuvole sperando non scompaia sotto l’orizzonte prima di colorare tutto il cielo. I minuti passano e le speranze che il tramonto si manifesti diminuiscono, forse, è complice anche il vento preso in faccia ad aumentare il mio grado di pessimismo.
Il vento, come “Saro” continuano a cantare mentre il sole satura di rosso la seratina liparota, il mare continua nelle sue lente movenze ed io resto acquattato nel mezzo dei due speroni lavici a godermi la tranquillità eoliana.
Bella, mi ricordo un viaggio in nave tra le isole e un tramonto di fuoco… 1999 🙂
Grazie Giuseppe, sono felice ti sia servito per ricordare il tuo viaggio!