La gestione di uno spazio on-line non è cosa semplice, figuriamoci per un animale da esplorazione come me. O passi il tempo a scrivere, o passi il tempo in ambiente a vivere emozioni; ecco, quest’ultima è stata la volontà di questo periodo.
Avrei una miriade di cose ed avventure da raccontarvi, e, visto che già da tempo sono nuovamente spinto a scrivere i miei consueti articoli, non trovando l’appiglio giusto per ripartire, comincio strano.
Pensandoci bene, forse, la cosa migliore sarebbe stata dirvi cosa è accaduto realmente in questi tre lunghi, intensi anni.
Premetto che non è la solita già letta storia legata alla pandemia; anzi, non ne parlerò proprio!
La curiosità è sempre stata uno dei miei motori primari: mi ha sospinto alle prime esplorazioni già dall’età adolescenziale nei boschi di fianco casa qua in Appennino, mi ha portato a girovagare per mezz’Italia nei luoghi meno blasonati ma autentici da adulto, ed infine mi ha incoraggiato a frequentare il corso di Guida Ambientale Escursionistica della Regione Emilia Romagna qualche anno fa. Da anni leggevo di questi corsi professionalizzanti, ma non mi ritenevo all’altezza, e quindi, me ne sono sempre tenuto alla larga. Sembrava quasi che non volessi mettermi di fronte ai fatti che la mia natura stessa, mi spingeva ad amare. Forse, la verità più plausibile, è che a scandire i tempi, ancora una volta, è solo madre natura…
All’ultimo giorno della data di iscrizione, in una giornata di fine inverno di cinque anni fa, mentre mi accingevo a consumare il solito pranzo lavorativo, lessi questo volantino cartaceo appeso al bancone del ristorante: Corso per Guida Ambientale Escursionistica, telefonare al …
Chi mi conosce sa bene di cosa parlo. Ma, se non avessi avuto la solita travolgente caparbietà di affrontare le cose, probabilmente avrei desistito dal chiamare, e invece…
… invece, tra una forchettata ed un’altra, con la paura che la radio di servizio squillasse per un intervento, mi convinsi che era il momento di immergermi in questa nuova avventura che suonava di genuino.
Oggi, ho cambiato lavoro, e sapete qual è il mio nuovo mestiere? Che ci crediate o meno, fare la GAE è un lavoro a tutti gli effetti, con tanto di partita iva e ragione sociale. L’Italia, è l’unica nazione al mondo ad avere una figura professionale che interpreta, racconta ed accompagna in ambiente chiunque lo desideri.
L’ecoturismo a passo lento, risuonava già nelle mie orecchie fin dai primi giorni di lezione. Da quei “primi passi” fatti nell’inverno del 2018, ho capito che in me qualcosa era già radicalmente cambiato. Con qualche collega di lavoro (quello vecchio) ne avevo accennato, ma faticavo ad accettarlo interiormente; come se avessi dovuto rimanere ancorato a qualcosa di solido, qualcosa come uno “stabile” contratto a tempo indeterminato.
Ora: immaginate la mia prorompenza caratteriale, conditela con una gioventù passata in mezzo ai boschi a scoprire il mondo fuori dai riflettori ed aggiungeteci la possibilità di accompagnare gruppi di persone.
Bam! Ho riscoperto il piacere di conoscere il Mondo ed ho acquisito l’onore di raccontarlo.
Storie di alberi e di boschi, degli animali e delle loro abitudini di vita quotidiana, di leggende e della vita del passato che ritorna, incontri con i custodi erranti dei territori e del loro antico sapere, giornate zeppe di attenta esplorazione fatta anche dietro casa, ed infine, il sapore delle stagioni sulla pelle: se potessi riassumere questi ultimi tre anni, lo farei esattamente così.
Il piacere di camminare nella natura me lo ha trasmesso mio nonno “Turi”, invece mia nonna “Peppina” è colei che mi ha attaccato il morbo di sognarla, la natura.

Nell’immensa Sicilia fatta perlopiù di mare e spiagge, già a 5 o 6 anni accompagnavo mio nonno per i boschi di mandorli, carrubi ed eucalipto alla ricerca di quelle cose che solo madre terra ti dona. Tra un mazzo d’origano e un cesto di mandorle, guardavo da lontano le ripetute stancanti manovre che dovevano fare i treni a vapore carichi d’arance nei tratti di salita ferroviaria, che nelle mattine più umide, rendevano i binari della Valle dell’Alcantara ancora più faticosi per via del poco attrito sotto le ruote.
“Sentisti il lamento dello sbuffo del vapore, chìsto è il destino della nostra Isola” diceva mio nonno, “la schiena spaccata dal peso, per farci pagare dai mercati del continente, a quattro lire, le nostre arance”.
Lui, era uno che ne sapeva di sacrifici. Era stato in guerra il Libia prima e poi in Svizzera a lavorare. Dopo la guerra, lo avevano paracadutato a Forlì; ci ha messo un mese e venti giorni a piedi, camminando di notte per non essere catturato a tornare in Sicilia. Al suo arrivo, suo padre che era del fascio, non lo fece nemmeno entrare: perché aveva la barba lunga e perché era stato servitore della patria. Fu’ emigrato in Svizzera per lavoro da adolescente, ma tornò. I suoi fratelli, rimasero fuori per sempre: uno a “Brokkolin” e l’altro in Australia. Solo uno era in Sicilia con lui: zio Peppino.
In ogni albero maestoso che incrocio, invece, risuona l’anima di nonna “Peppina”. Una di quelle donne capaci di gestire un’intera famiglia, senza mai voltare le spalle a suo marito. Dovete sapere, che fino a venti o trenta anni fa, laggiù si viveva d’un retaggio sociale e familiare appartenente al secolo precedente; cosa assai difficile da immaginare e comprendere per uno che non l’ha mai vissuto. Tant’è, che Vent’anni dopo, quassù in Appennino, quando la professoressa cercava di spiegare alcuni passi dei “i malavoglia” ai miei compagni che faticavano a recepire, io rivivevo un pezzo d’infanzia. Mi riprendeva, perché pareva che sognassi ad occhi aperti. Il fatto, è che non era solo apparenza, ma vaglielo a spiegare…
Lei, mia nonna, era la mia mamma spirituale. Quella vera, avuti problemi di gravidanza con mia sorella e dovendo fronteggiare il poco lavoro che le offrivano, mi lasciava per intere settimane a casa dei nonni. Era figlia di pastori mia nonna “Peppina”, sapeva tutto sulle piante e su come si utilizzavano in ogni situazione, sapeva a menadito come si muovevano i cieli e prevedeva i temporali, aveva il potere di dettare legge su quando fare le semine nei campi di mio Zio o quando far lievitare decine di chili di pane, e soprattutto, non mi mollava mai un secondo. Che fosse estate o inverno, vestiva sempre a fiori e mi raccontava delle faticose ma istruttive giornate passate negli aridi pascoli della Sicilia. Il nostro giardino, sembrava sempre agghindato per le feste: le bouganville su tutti. Crescevano rigogliose e coloravano la mia infanzia.

Fra ricordi e scorribande in montagna, questi tre anni sono volati; un po’ come questo racconto di mia reintroduzione al mondo social su questo sito. Vi racconterei una miriade di altre cose, ma come dice sempre un caro amico che scrive seriamente: “ricordati di spezzare i racconti! La gente li legge meglio e crei attesa.” Io eseguo alla lettera, e vi do appuntamento al prossimo racconto, che tarderà solo qualche giorno ad arrivare; potete scommetterci.
© Salvatore Di Stefano