Gocce di sudore scivolano sulla fronte, rimangono sospese qualche istante sulla punta del naso, poi, improvvisamente, collassano sotto il ritmo marciante dei passi scanditi sopra le balze di selciato. Se la vista di qualche gradino e l’abbigliamento non proprio idoneo ci avevano fatto cambiare idea ieri sera, stamane, a stomaco pieno e vestiti come i viandanti seri, affrontiamo questa sequenza interminabile di scalini.
Sembra quasi un contrappasso; appena terminata una rampa, curva a gomito e…
…e si ricomincia. Altra rampa!

Di buona lena, abbiamo intenzione di traversare una parte delle cinque terre a piedi. Partenza da Monterosso ed arrivo a Corniglia, passando per Vernazza.
Salutato l’oste Giovanni, ancora risentito con Stefania per la storia dello spezino, ci lasciamo alle spalle la piazzetta di Monterosso al Mare e risaliamo lo scosceso sentiero orientato a levante.
Potrà non sembrare veritiero, ma, questo sentiero, è lo stesso usato dai contadini liguri per raggiungere i loro appezzamenti di terreno ripidi e terrazzati. Ovunque ti giri, scorgi muri a secco e strapiombi a decine di metri sopra il mare.
Passano a malapena i miei grossi scarponi lungo la via, pensare, che qualche anno a dietro, muli carichi di ceste stracolme di olive o uve inerpicavano questi sentieri appositamente realizzati.

Anche se l’odore di pescato fresco rimane ancora forte, Monterosso è già qualche centinaio di metri più in basso. Quassù, il regno è dello sciacchetrà; vino di rara e limitatissima produzione. Si ottiene da uve del tipo Bosco, Vermentino e Albarola, raccolte e lasciate per lungo tempo appassire sui graticci all’ombra dei raggi solari e dolcemente accarezzate dalla sempreverde brezza marina. Cosa ne esce? Provare per credere…
Chini sopra le viti, i contadini armati di forbice, ripuliscono dal fogliame superfluo le piante, mentre all’ombra di qualche albero, già carico di limoni, i loro fedeli cani vegliano attentamente sul passaggio di qualche viandante affaticato che in bilico, fra un terrazzamento ed un vallone, non può fare a meno di fermarsi ad assaporare i colori primaverili del paesaggio tutt’intorno.

Più avanti, la macchia prende il sopravvento. Tra vecchi ruderi e ulivi secolari non spogliati dai rami superflui, si intuisce il destino inesorabile di queste colture; l’uomo ha abbandonato questa vita, dunque, la natura si è riappropriata di ciò che le apparteneva. Di tanto in tanto, s’apre una finestra tra la vegetazione che regala scorci fantastici. Incredibile come un punto di vista diverso, faccia sembrare un’altro, un posto già conosciuto.
I dorsi delle montagne sembrano sprofondare nelle agitate acque marine ed il solo sentiero taglia in due la fitta vegetazione; di tanto in tanto, qualche cartello, indica l’inequivocabile rotta o alcuni tratti più ripidi e strapiombanti di quello che ormai pare normale, lungo questo sentiero. Intanto, le pendenze addolcite, rispetto al tratto iniziale, in alcuni casi divengono brevi discese e si sa; dove c’è una discesa, si cela un’altra risalita. Dunque, oltrepassiamo presto l’ennesima scogliera.

La finestra che s’apre questa volte è diversa, nulla a che fare con la macchia mediterranea o con le scogliere frastagliate; una perla. Sì, una perla incastonata sugli scogli dalla mano umana. Un anfratto rubato al mare ed alla montagna, conteso ancora da entrambe le forze.
“Vernasca capi mmundi, Roma per segundi”
Dall’epoca del dominio della Repubblica Marinara di Genova, questo è il motto che aleggia a Vernazza. Uomini forti, uomini che uscivano in mare senza esser certi di far ritorno sulla terra ferma, gli stessi che scoprivano nuove terre o sconfiggevano, a suon di palle di cannone, galee battenti bandiere con teschio e ossa incrociate su sfondo nero.
Dopo una rapida sosta per godere della meravigliosa cartolina regalataci, rimettiamo in moto le gambe. Come la salita d’inizio giornata, la discesa verso Vernazza, assume le sembianze di una picchiata vera e propria.

La piazzetta è condivisa con il porticciolo, anzi, è invasa!
Ad ornamento del lastricato inumidito dalle intense mareggiate, vivaci barche dei pochi pescatori rimasti. Qualche turista, arrivato comodamente in treno, vaga alla ricerca di qualcosa che lo attragga in modo particolare. Ancora è bassa stagione, e, ad eccezione di qualche timido francese incontrato lungo il cammino, la quiete regna sovrana in tutti gli angoli. Tutti, tranne uno!
Adiacente alla chiesetta, in un antro in fondo alla piazza, una manciata di Vernazzesi animano un chiassoso “buco” ornato di qualche tavolino stile ’60. Una tenda parasole giallo sbiadita porta il nome: “Ananasso – BAR”.
Una delle tante mattine, s’avvicina una barchetta a motore. Scende un uomo e come tutti i giorni, con fare quiete si dirige verso quei chiassosi tavolini ed ordina un caffè. Gianni, il barista, ascolta una domanda rivoltagli da quell’uomo: “caro un caffè 1500 lire…”
Gianni ribatte: “Te culturato, eppur bevi coi pescatori. Quanti semu al mmundo?” L’uomo risponde: “3 milioni”, Gianni: “Se tutto il mondo viene da me a prendere il caffè, diventerei ricco, quindi il prezzo è sempre 1500 lire!”
Si chiamava Gianni anche l’uomo colto venuto dal mare che beveva assieme ai pescatori vernazzesi, precisamente, Gianni Brera.
“I bevitori di vino si dividono in due categorie: i viziosi che scontano il vino come una condanna e gli intenditori per i quali il vino è poesia e perfino preghiera.”

Una focaccia genovese ed un paio di birre consumate al tepore dei raggi solari, seduti in una delle panchine rivolte fronte al mare, un rapido giro su al Castello dei Doria e siamo pronti a ripartire sempre seguendo la riviera di levante. Tappa in questione; Vernazza – Corniglia.
Là, il treno ci attende per riportare i nostri piedi stanchi a Monterosso, dall’oste Giovanni.
To be continued…
© Salvatore Di Stefano