Una di quelle dolci melodie da aggeggio infernale elettronico, comunemente chiamato telefonino, rompe il silenzio della piana; come una cannonata a ciel sereno, suona la sveglia. Con gli occhi ancora pieni di sonno mi dirigo verso il bagno al solo chiarore dell’alba, “Pum”, una botta tremenda seguita da un dolore immenso al piede. Prima d’andare a dormire, avevo accuratamente lasciato zaino e scarponi ai piedi del letto convinto di risparmiare tempo utile, dimenticando però, che il mio risveglio è sempre tardo e travagliato!
Soffia un vento caldo stamattina, devono esserci 8 o 9 gradi, di fatti, esco vestito leggero facendo aumentare di conseguenza il volume dello zaino. Una calma leggendaria arieggia giù dalla collina di Castelluccio, anche se oggi è sabato e come tutti i sabati questo antico e sperduto posto si ripopola di umani assediatori, tutti a caccia di bramosa tranquillità. Anche ai Sènari oggi arriva qualcuno; è con queste parole che Mariella saluta la mia uscita.
A chi cammina non si muovono solo gli astratti pensieri nel cervello, ma si mettono in movimento carne e sangue, così le sapienze inconsce depositate negli organi possono mobilizzarsi, montare in alto e riaffiorare nella coscienza.”
(Mechthild Scheffer “Le piante per la psiche”)
Se camminare smuove carne e sangue, posso assicurarvi che anche le parti più ferme del corpo vengono raggiunte dall’ossigeno, subendo così, una lenta trasformazione. Le scorie vengono allontanate da ogni cellula attraverso il sudore, a noi spetta, poi, il duro compito di tornare a riempire questo spazio lasciato vuoto con materia positiva; non è sicuramente lavoro semplice!
Tra un pensiero ed un passo, un passo ed un sorso d’acqua, brucio gli 8 chilometri di Pian Grande che dividono Castelluccio da Forca di Presta; il paesaggio fin ora attraversato sembra appartenere ad un’altra stagione. Segnato da un vento caldo che spira continuamente lungo la piana, trovo riparo solo all’avvicinarmi delle colline che, qua, segnano la fine dell’infinito e vasto altopiano.
Avvicinandomi alla Forca, intravedo la provinciale 34 che valica la piana portando dritti nel piceno. Quassù, qualche rado automobilista, guarda con fare stranito un omino tutto vestito di rosso, con lo zaino sulle spalle ed una Nikon a tracolla da solo in mezzo ai monti. Quell’omino, sarei io!
Arrivo al valico; una breve scrutata oltre l’orizzonte, là, dove scorgo il massiccio del Gran Sasso e proseguo di gran lena. Anche qua il vento non da tregua, anzi, d’ora in poi rinforzerà. L’obbiettivo, anche oggi, è di salire sul Vettore ma vista l’antifona mi accontenterò anche d’arrivare poco più in su dei 2000 metri.
Il sentiero coperto con pietre di riporto erose si fa asfissiante, l’unico sollievo lo ricevo dal vento che soffia a favore, sembra quasi che alleggerisca lo zaino tanto spira. “Conosci la differenza tra mulo ed asino“, mi aveva chiesto Agostino ieri sera; “gli asini sono ottimi lavoratori, ma i muli oltre ad essere ottimi per la soma, camminano mettendo un passo avanti l’altro, così facendo passano su sentieri e sporgenze strettissime”, continua poi: “Quand’ero giovane, in sella ai muli, ho preso tanti spaventi!” Ecco; io, come un vecchio mulo, arrampico le strette pendenze tortuose del Monte Vettoretto.
Di tanto in tanto alzo lo sguardo, scorgo, a sprazzi, la cresta rocciosa del Redentore che si denuda dalla coltre di nubi; intimorisce quasi, come fosse lì a controllare chi ne tenta la salita. Cavalcando le creste e attraversando ripidi valloni, arrivo presto sulla cima del Monte Vettoretto, dove, mi ritrovo letteralmente esposto ai quattro venti. Il Gran Sasso ed i Monti della Laga, il Terminillo ed addirittura uno scorcio della Maiella; vento a parte, da qua si vede mezza Italia.
Lo stomaco raglia, quindi scendo di quota trovando riparo dalle raffiche dietro uno spuntone roccioso, posto ideale per divorare un pane con il prosciutto di Mariella. Seduto su una specie di terrazza che domina tutto, non rimane che mangiare, in silenzio, godendosi la vasta bellezza dei Piani.
E’ l’una, rimarranno appena 4 ore scarse di luce e considerando che 12 km mi separano dai Sènari, intuisco che pian piano è meglio riprendere la via del ritorno, riattraversando a ritroso la piana che da quassù sembra quasi più corta.
Meglio non aver guardato il gps; segna 41 km, tutti macinati negli ultimi due instancabili giorni. Effettivamente, a farci caso, accuso un po di pesantezza nelle gambe, ma l’essere ai piedi di Castelluccio mi rincuora parecchio. Al momento la freschezza fisica non sembra essere il mio cavallo di battaglia anche se arranco le ultime pendenze verso la piazzetta. Un tumulto di cristiani, trenta o quaranta macchine parcheggiate; non sembra neanche lontanamente il paesino di montagna sperduto che vivo da tre giorni. Comincia ad imbrunire, di fatti, molti di essi fanno rientro, chiassosamente, ai loro paesi di provenienza. Cosa faccio Io? Naturale, mi rifugio fra le amorevoli cure della Locanda, sicuro, che nel giro di mezz’ora tutto torna alla normalità, proprio com’era stamane.
To be continued…
© Salvatore Di Stefano