Partire senza una precisa meta ma con una destinazione ben definita, questa la meraviglia dell’Appennino. Unico scopo, cavalcare l’Alta Via dei Parchi.
Salvatore Di Stefano

Allora zaino in spalla, si parte dal piccolo santuario di Madonna dell’Acero sito a 1200 metri s.l.m. che rimane ancora una delle massime espressioni della religiosità popolare della montagna bolognese.
Fatto il pieno d’acqua alla vicina fontana, seguendo il ben segnalato sentiero CAI 327, ci si ritrova avvolti dalle spettacolari foreste di eleganti faggi e maestosi abeti. Poche centinaia di metri e decidiamo di proseguire sul 327 abbandonando l’idea di inforcare il sentiero 323 che ci avrebbe condotti ad una dolce pausa al Rifugio Segavecchia. Già! Stamane tra organizzazioni varie e strade affollate siamo riusciti ad incamminarci solo poco prima delle 10.30…
La salita è durissima con poche curve, in appena due chilometri si arriva dai 1280 metri della partenza ai 1830 della Nuda; solo ai 1700 metri si viene abbagliati dallo splendore delle praterie e dei vaccinieti che rivestono la parte sommitale del versante occidentale della Nuda.

La fatica sembra essere dimenticata, mentre il passo viene rallentato dalla scorpacciata di mirtilli neri che inevitabilmente prende il sopravvento.
E’ quasi l’una! Dobbiamo ancora arrampicarci parecchio prima di rimanere in quota, quindi si riparte. Neanche mezz’ora e siamo in cima alla Nuda.
“Sosta!” Esclama Stefania, stremata dalle quasi due ore salita nelle gambe. Qui incontriamo due viaggiatori di giornata, lo si capisce dalla leggerezza dei loro zaini, che scrutano l’orizzonte con un binocolo.
“Da dove venite?” chiediamo. “Dalle Balze della Saetta” risponde uno di loro. Io esclamo: “Però!” Subito dopo Stefania, che ignora la durezza del percorso di provenienza, chiede: “Ma fate anche le Balze dell’Ora?” E subito loro: “No, no…. basta così per oggi!” Poco dopo ripartono nella direzione da cui siamo appena arrivati noi, scomparendo rapidamente nella vegetazione.
Il vento si comincia a far sentire: quindi è giunta l’ora di rimettersi in marcia. Dobbiamo arrivare al Passo del Vallone seguendo il sentiero 129 per poi scendere nella la conca glaciale di Rio Piano e risalire alla volta del Passo della Porticciola. Poi, proseguendo per la vetta di Punta Sofia si va verso la vetta più settentrionale del Corno alle Scale. Tradotto voleva dire due ore e mezza abbondanti di cammino…
La fame si comincia a sentire. Mentre inizio ad assaporare nella mia testa il panino pieno di crudo e formaggio arriviamo al Passo del vallone. Stefania alla vista ravvicinata, solo in linea d’aria, della croce di Punta Sofia domanda: “Ma perchè dobbiamo fare tutta quella strada per arrivare lassù quando da qui dritti dritti, arriviamo subito?” Quel “dritti dritti, arriviamo subito” voleva dire affrontare le terribili Balze dell’Ora con i nostri 30 chili di zaino in spalla….

Ci sono diversi sentieri che portano alla cima del Corno alle Scale; quello della notevole cresta dei Balzi dell’Ora è a mio avviso il più spettacolare ed emozionante. Per prima cosa e’ fondamentale non soffrire di vertigini perché questa cresta è molto esposta su una parete di roccia verticale. Un salto di oltre 200 metri sul lato sinistro e un ripidissimo pendio erboso sul lato destro rendono unico.
Un cartello avvisa che da questo punto il sentiero è per escursionisti esperti, non ha tutti i torti visto la presenza alcuni brevi passaggi di arrampicata di primo grado.
Bisogna essere dotati di un buon fiato, piede fermo ed una piccola dose di follia per arrampicarsi come stambecchi sulle strapiombanti creste delle Balze, ma l’idea di arrivare prima alla Croce era fobica…
Eccoci, via i bastoncini da trekking e spazio alle mani nude oltre a qualche barretta di cioccolata!
La via di salita alla cima appare a questo punto logica ed evidente, il sentiero 129 prende la denominazione E.E. ed in 701 metri di cammino l’ascesa ne è di soli 259; ciò significa che la pendenza media è del 37%!
Questi sono ambienti inospitali e difficili dove le condizioni di vita sono molto severe: notevole aridità, forte escursione termica giornaliera, intensa insolazione e costante esposizione ai venti ed al gelo.
Però, appunto, quassù la natura diviene padrona incontrastata. La prateria si frammenta e va a occupare piccole sporgenze dalle quali, nei periodi estivi, sbocciano piccole vistose e spettacolari fioriture. Sassi e Fiori!
Il fiato si fa corto e la fatica prende il sopravvento, ma l’immensa vista verso nord con la bella visione d’insieme dei Balzi appena risaliti ed un panorama spettacolare sull’Alpe di Rocca Corneta, ad occidente, pare ingigantire la reale difficoltà del percorso. Chiacchierando e scarpinando in soli 35 minuti raggiungiamo la cima: Punta Sofia.

Siamo in quota! Ciò vuol dire che di grossi saliscendi non ne vedremo fino a domani pomeriggio. C’è quasi il sole, è sparita dalla vetta quella caratteristica nuvola minacciosa e bassa che tengo d’occhio dalla Nuda. Dai suoi repentini spostamenti avevo intuito che tirava molto vento, del resto qua sul crinale c’è sempre vento, lo stesso vento che in pieno inverno forgia imponenti sculture di galaverna.
Ringrazio per la foto l’amico Marco Albertini che condivide entrambe le passioni: la fotografia e la montagna.

Si fatica a stare in piedi appena giunti sotto la croce. Giù lo zaino dalle spalle, indosso velocemente la giacca anti-vento e sguaino nuovamente i bastoni da trekking tornando a “quattro zampe”, stessa ed immediata la reazione di Stefania. In queste condizioni il panino idealmente pregustato mezz’ora fa non si mangia sicuramente, dunque via spediti verso la cima più alta del Corno alle Scale dove la seggiovia forma una conca che ripara dal vento. Pochi minuti di cammino mantenendosi subito a destra del filo di cresta ed ecco il punto più alto della provincia di Bologna, 1945 metri s.l.m.
La giornata è abbastanza limpida, il panorama visto da quassù per vastità trova pochi eguali in questo settore dell’Appennino. Se la giornata è molto limpida lo sfondo appare spettacolare con gran parte dell’arco alpino innevato a sovrastare un ampio settore della Val Padana. Con minore difficoltà sono ben visibili anche le Alpi Apuane oltre un ampio settore dell’Appennino modenese. Oggi però, non è la giornata più fortunata…

Una giornata molto chiara permetterebbe inoltre di scorgere a sudovest il Mar Tirreno, addirittura l’Isola d’Elba e le cime della Corsica proprio all’orizzonte. Altre giornate offrono una coltre di nuvole basse e da lassù, sopra quelle nuvole basse, si ha proprio la sensazione di stare in paradiso.
Sono le 14.30, fra chiacchiere e teatrini abbiamo già percorso cinque chilometri e mezzo con un dislivello altimetrico da far impallidire chiunque senza dimenticare i 30 chili sulle spalle. Al riparo dal grecale si sta quasi caldi, quindi una mezz’oretta di riposo all’ombra del terminal della seggiovia non ce la toglie nessuno mentre il panino va giù che è una meraviglia. I pochi temerari che arrivano dalla seggiovia ci guardano divorare voracemente quel pasto, non sapendo che da stamattina dopo la colazione è il primo. Ma noi seduti sulla soffice brughiera continuiamo disinteressati.
Ci vorrebbe un caffè! Già, perchè dopo il pranzo e coccolati dalle raffiche di vento, il fisico si alleggerisce. Qua non c’è neanche il profumo del caffè ed il più vicino rifugio è ad un’oretta di cammino, quindi armati di buona lena ricarichiamo gli zaini e proseguiamo il tragitto alla volta della meta odierna: il Lago Scaffaiolo.

La discesa è immediata se tralasciamo la breve risalita per valicare la Punta Giorgina (terza ed ultima cima del Corno alle Scale), in meno di un quarto d’ora giungiamo alla sella del Passo dello Strofinatoio; siamo in pieno crinale appenninico, questo è il confine di regione tra l’Emilia e la Toscana. Il sentiero si denomina CAI 00, come dire “autostrada A 1”, da qua in avanti solcheremo la famigerata Alta Via Dei Parchi.
Accompagnati dal vento e solcando arbusti di mirtilli che tentano la gola, scendiamo ancora di quota aggirando il Monte Cornaccio fino a raggiungere i 1800 metri del Passo dei tre Termini. Vi chiederete perchè Tre Termini? Bèh, la storia è semplice, si tratta di una sella che riveste particolare importanza in quanto è il punto in cui si uniscono e dividono tre province: Bologna, Modena e Pistoia. Addirittura questa Sella prima dell’unione d’Italia fu confine di tre diverse nazioni: lo Stato della Chiesa, il Ducato di Modena e il Granducato di Toscana. Nel 217 a.C. sarebbe passato anche Annibale il Cartaginese insieme al suo esercito, trasportato dall’unico elefante superstite dalle battaglie nel nord d’Italia. Ancora oggi un antico cippo confinario in pietra serena è presente al Passo, anticamente denominato anche Passo della Calanca.

Incredibile… Tutto questo è scritto su di un cippo di pietra! Un muto testimone del tempo che passa e delle assurde divisioni politiche operate dall’uomo nei secoli.
Sono quasi le 16.00, il Rifugio Duca degli Abruzzi è lì davanti. Intanto, Stefania, che ignora la storia del Passo appena “calpestato”, si limita a trotterellare di arbusto in arbusto mangiando mirtilli. Lasciandoci al fianco sinistro il Monte Cupolino in un batter d’occhio raggiungiamo il famigerato e tanto atteso rifugio e qua si conclude la prima intensa e divertente giornata sulle creste dell’Appennino.
© Salvatore Di Stefano
L’ha ribloggato su IN VIAGGIO CON L'OBIETTIVO.